La manifestazione per l’Europa, promossa da Michele Serra e replicata in diverse città dell’isola, tra cui Cagliari, apre una riflessione politica su quanto sta accadendo a livello internazionale e su come queste dinamiche influenzino concretamente le nostre vite. Quella che è stata presentata come una mobilitazione per l’Europa, con slogan ambigui e terminologia confusa, si è rivelata una manifestazione a sostegno del piano di riarmo deciso dall’élite al governo in Europa, guidato da Ursula von der Leyen. Un piano che, nonostante l’apparenza di una sorta di affrancamento dagli Stati Uniti, si allinea invece perfettamente con gli interessi americani.
Bisogna rispettare chi manifesta, ma la realtà è che le persone sono state portate in piazza sulla base di false affermazioni, alimentando la paura di un nemico russo alle porte dell’Europa, una minaccia inesistente e creata ad arte dai media. Questo clima di paura giustifica la logica del riarmo, che, lontano dal difendere l’Europa, favorisce gli interessi statunitensi, da cui l’Europa acquisterà armi e da cui continuerà a dipendere, sia nella produzione di armamenti che nei sistemi di difesa strategici, come quelli satellitari.
La piazza, presentata come un atto di adesione collettiva, è in realtà il risultato di un meccanismo preordinato, orchestrato da un’élite di intellettuali prezzolati e artisti stantii. Questi soggetti hanno cercato di costruire l’immagine di un consenso popolare alla logica imposta dall’Europa, creando l’illusione di un’adesione collettiva. Di fatto, siamo di fronte a una grave forma di propaganda militare, promossa dalle classi dominanti della politica italiana, per orientare l’opinione pubblica e soffocare il dissenso di chi non è allineato a questa barbarie politica e antidemocratica, culminata nella decisione di stanziare 800 miliardi per il riarmo degli Stati europei.
Tra i comuni che hanno aderito alla manifestazione ci sono Alessandria, Andria, Aosta e Roma, con il sostegno del sindaco Roberto Gualtieri. In Sardegna, il Comune di Quartu ha persino messo a disposizione uno spazio pubblico per una manifestazione parallela. A Quartu la mattina e a Cagliari il pomeriggio. A Cagliari, la piazza è stata occupata da politici di diverse appartenenze, tra cui il sindaco Massimo Zedda, la deputata Francesca Ghirra, il consigliere regionale Francesco Agus e il segretario regionale del PD Piero Comandini, nonché presidente dell’Assemblea sarda. Tutti si sono mossi sotto la retorica della “difesa dei valori europei” e dell’Europa unita, dichiarando di non essere disposti a mettere in discussione la pace, ma allo stesso tempo dichiarandosi disponibili alla “mobilitazione”, ossia a favore della logica del riarmo e dello “stato di guerra permanente”.
Ciò che emerge è una distorsione del significato stesso delle parole. Stride vedere le bandiere della pace sventolare in una piazza che acclama politiche di riarmo, mentre il sistema di potere maschera la propria ipocrisia, travestendo la corsa agli armamenti da necessità di difesa dei confini europei. Il sostegno alla guerra, spinto dalla retorica filo-ucraina e dalla difesa del governo nazionalista di Zelensky, sta svuotando di significato il concetto stesso di pace, celando, dietro un’apparente logica difensiva, gli interessi che alimentano il conflitto e le tensioni internazionali.
L’Unione Europea, esclusa dalle trattative di pace tra Trump e Putin, cerca ora di ritagliarsi uno spazio geopolitico. Ma, al contrario di quanto sostiene la propaganda guerrafondaia italiana, l’Europa continuerà a essere un vassallo degli Stati Uniti, senza alcuna reale autonomia.
L’Europa sta perdendo completamente la bussola. Invece di svolgere il ruolo di mediazione che avrebbe dovuto avere fin dall’inizio della crisi, con l’ingresso dei russi in Ucraina nel 2022, sta scegliendo una strada pericolosa che potrebbe aprire le porte a una guerra sul suolo europeo. Sono i toni guerrafondai dei leader europei e la volontà di spingere sul conflitto ucraino che rischiano di trasformare l’Europa in un terreno di guerra. È l’atteggiamento bellicista di Bruxelles che potrebbe spingere la Russia a percepire l’Unione Europea come una minaccia diretta alla propria sicurezza, rischiando così di innescare una vera catastrofe. Alla radice della guerra in Ucraina ci sono le politiche di destabilizzazione e di espansione a Est della NATO. La reazione russa è stata innanzitutto una risposta alla prospettiva di basi NATO a ridosso del proprio confine. A ciò si aggiungono otto anni di violenze contro le popolazioni russofone e i separatisti delle autoproclamate repubbliche del Donbass, che hanno ulteriormente alimentato la tensione nell’area. È in questo scenario che la Russia ha scelto di intervenire.
Ci si chiede se chi ci guida abbia una visione razionale o se siamo in mano a avventurieri incapaci di valutare le conseguenze delle proprie scelte. Se l’Europa volesse davvero affermarsi come indipendente dagli Stati Uniti, dovrebbe cercare di incunearsi tra le due superpotenze, non alimentare un conflitto che l’Ucraina ha già perso sul campo. Ma la verità è che il potere delle classi dirigenti dipende dal proseguimento della guerra in Ucraina, e per questo continuano a cavalcare il populismo bellicista, usando la minaccia russa come spauracchio.
Stiamo parlando delle stesse classi dirigenti che non proferiscono parola contro il piano di Trump e Netanyahu di deportare milioni di palestinesi, con l’intento trasformare la Palestina in un resort di lusso. Gli stessi che accolgono con onorificenze Netanyahu, responsabile della morte di oltre 50.000 palestinesi. Dopo tre anni di aiuti incondizionati a Kiev, non c’è stata alcuna presa di posizione contro i crimini israeliani e il genocidio in corso nella Palestina occupata illegalmente, da parte di uno Stato che pratica la violenza, l’apartheid e la sopraffazione. Il doppio standard della politica e dei media europei è nauseante: Putin criminale di guerra, Netanyahu no.
Ciò che le piazze per l’Europa non hanno raccontato è che la corsa al riarmo voluta dall’UE sospende il Patto di Stabilità per finanziare le spese militari, sacrificando sanità, istruzione e servizi essenziali. Gli Stati più ricchi, come la Germania, ne beneficeranno, mentre quelli più indebitati, come l’Italia, pagheranno il prezzo, con un debito che aumenterà. Così crolla la retorica dell’Europa unita e dei valori di pace. Gli Stati europei scaricheranno il peso della corsa agli armamenti sulle classi sociali più povere. Saranno i figli delle classi disagiate a essere mandati in guerra, non quelli delle élite, che hanno chiamato le manifestazioni di Piazza del Popolo a Roma o Piazza del Carmine a Cagliari.
Tutto questo risponde perfettamente agli interessi degli Stati Uniti. Non solo Trump, ma già Biden all’inizio della crisi ucraina, hanno chiesto all’Europa di armarsi e aumentare le spese militari, e ora l’UE sta seguendo alla lettera questa linea. Altro che affrancarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti.
Nonostante l’impianto mediatico e l’apparato politico che ha mobilitato partiti, associazioni e persino sindacati, quello che abbiamo visto è stato un sostanziale flop: a Roma non si sono superati i 30.000 partecipanti, mentre a Cagliari si sono contate al massimo 400 persone. Dall’altra parte, le opposizioni restano frammentate in una miriade di piccole formazioni, spesso con visioni inconciliabili tra loro, incapaci di riconoscersi in una piattaforma comune e di opporsi in modo efficace a una classe dirigente delegittimata e pericolosa, che oggi guida l’Europa verso il baratro. Tutto ciò riflette due aspetti fondamentali: il fallimento della propaganda bellicista e il crescente disinteresse verso una questione che, per quanto cruciale, ancora non pare coinvolgere abbastanza l’opinione pubblica. L’allontanamento delle persone dalla politica è evidente.
L’indipendentismo sardo è assente dal dibattito politico su guerra e riarmo, mentre avrebbe il dovere di assumere una posizione chiara e decisa. L’Italia non garantisce più nemmeno la promessa di pace: la Sardegna, già devastata da una massiccia occupazione militare, sarà la terra che principalmente pagherà il peso delle nuove politiche di guerra, con i suoi tre poligoni dove si svolgono esercitazioni NATO. L’isola rischia di diventare ancora di più il campo di battaglia delle strategie militari imposte da Roma e Bruxelles.
L’indipendentismo non può restare in silenzio o rifugiarsi in posizioni ambigue. Battersi per l’autodeterminazione significa anche rompere con questa deriva bellicista e costruire un’alternativa in cui la Sardegna possa ritagliarsi un ruolo politico autonomo nel Mediterraneo, fondato sulla diplomazia, sulla cooperazione internazionale e sulla pace tra i popoli. L’isola può e deve essere un ponte di dialogo, non un avamposto militare. Ma significa anche liberare in prospettiva risorse ed energie per uno sviluppo basato sulla cultura, sulla ricerca e sulla valorizzazione del proprio territorio, anziché essere costretta a dipendere dalle politiche che favoriscono interessi estranei al nostro territorio e giochi di guerra sullo scacchiere internazionale.
Abbiamo un grande rispetto per chi si impegna sul fronte della lotta contro la speculazione energetica e sulla battaglia democratica per la modifica di una legge elettorale liberticida – percorsi che seguiamo e nei quali siamo presenti – ma a questo deve aggiungersi oggi l’urgenza di intervenire nel dibattito sul fronte della lotta alla guerra e all’occupazione militare dell’Isola. Oggi più che mai è necessario saldare le lotte sulla base di una piattaforma di rilancio della questione dell’emancipazione e dell’indipendenza natzionale. L’indipendentismo viene fuori da una serie di fallimenti politici importanti: negli ultimi quindici anni sono state attuate una serie di piani fallimentari, e mai una volta ci si è seduti in una vera assise plenaria per analizzare e riflettere sugli sbagli commessi, per elaborare una nuova prospettiva strategica, in un contesto segnato dall’assenza di ricambio generazionale e dalla presenza di un numero sempre maggiore di piccole sigle spesso in competizione e ostili al dibattito. Il nostro non può essere che un appello e una riflessione pubblica, e un richiamo alla necessità di un’immediata apertura di un fronte sociale contro la guerra. È il momento di porre la centralità di questa tematica nel dibattito politico sardo.
Ma è necessario anche smontare ogni ambiguità: gli indipendentisti hanno il dovere di affermare che l’unico diritto internazionale che esiste è quello dell’emancipazione, dell’autodeterminazione e dell’indipendenza. Non esiste un diritto internazionale per la sopravvivenza di uno Stato, non esiste alcun diritto alla conservazione dei confini di uno Stato. È questo uno dei concetti fondanti dell’autodeterminazione, della libertà e della democrazia, in quanto sono i popoli a decidere del proprio futuro. Ma questo principio si contrappone anche all’ipocrita narrazione della cosiddetta difesa dello Stato ucraino. Si oppone alle logiche di chi polarizza il dibattito non sul diritto dei popoli ma sulla difesa dei confini statuali e della loro sovranità, mettendo in secondo piano gli interessi delle persone, i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Rivendichiamo l’equidistanza da qualsiasi logica imperialista, sia che si tratti degli Stati Uniti che della Russia, senza cadere nella trappola dell’europeismo bellicista che cerca di far credere ai propri cittadini che l’Unione Europea possa esercitare un ruolo al pari delle potenze nucleari armandosi. Smontiamo questa retorica guerrafondaia, a favore invece di un disarmo su scala mondiale, per scardinare le élite politiche al governo di questa Europa prima che sia troppo tardi.
Denunciamo con forza il piano folle e criminale delle classi dominanti in Italia e in Europa: le armi che andremo a produrre con i soldi sottratti agli investimenti sociali non resteranno negli arsenali e verosimilmente saranno usate impiegate nell’ambito di uno dei 56 conflitti in corso nel mondo. Saranno impiegate, presumibilmente, se non in un conflitto vero e proprio contro la Russia, in Africa o, in una competizione strategica con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In questo scenario, è evidente la centralità della nostra isola e il suo ruolo geostrategico. Dipende solo da noi e dalla nostra volontà: cedere il nostro territorio alle logiche coloniali italiane, statunitensi e delle attuali élite europeiste, o invece affrancarci e costruire una vera prospettiva di pace, emancipazione e libertà.
Coordinamento Nazionale di Caminera Noa
Tàttari, 17 de Martzu de su 2024