Ordinanza con poche luci e tante ombre, ma se il governo la impugna pronti a scendere in piazza!


Ci aspettavamo una ordinanza che facesse chiarezza su cosa poteva aprire e cosa no e invece ci troviamo tra le mani una ordinanza che in molte materie demanda ai sindaci creando il pericolo di una enorme confusione .

Riteniamo comunque positivo un parziale alleggerimento di alcune attività ormai al collasso. Non si scherza con la vita e la tasca delle persone già messe a dura prova anche da molto prima dello scoppio della pandemia. Per cui sosteniamo tutti gli elementi di apertura razionale contenuti nell’ordinanza come per esempio la possibilità di riaprire i mercati rionali, la possibilità di tosatura degli ovini e la raccolta del foraggio, fondamentale per la pastorizia, e la riapertura di molti servizi e attività.

Ci chiediamo però il criterio per cui alcuni riaprono dal 4 e altri dall’11 maggio. Il Dpcm infatti prevede che dal 4 riaprano manifatture, costruzioni, tessile, moda, automotive, ecc. Anzi, sappiamo bene che già dallo scorso lunedì 27 aprile hanno riaperto i battenti le «attività propedeutiche» di tali settori, senza contare le decine di migliaia di proroghe concesse fin dal 23 marzo, nel periodo più nero del contagio. Tutto questo ovviamente senza nessun indice di trasmissibilità del virus Rt uguale o inferiore a 0,5%. È ipocrita ignorare che le Regioni ricche del nord, con una densità abitativa 7-8 volte superiore alla nostra e con una curva del contagio spaventosamente superiore, non si sono mai fermate.

Il nord dello Stato non ha mai chiuso. Dopo il DPCM che chiudeva tutte le attività non essenziali sappiamo bene come è andata: Il presidente di Confindustria Boccia ha corretto il decreto raddoppiando i codici delle “attività essenziali” e soprattutto ha inserito nel decreto il dispositivo delle deroghe in autocertificazione, senza alcun controllo da parte dei prefetti. Ovviamente la maggior parte delle riaperture è avvenuta al nord, perché lì si concentra la produzione industriale. Gli effetti sono stati drammatici: solo per fare un esempio i contagi da Covid-19 sul lavoro in Lombardia sono il 35,1%, in Sardegna l’1,3%.

In questo contesto che senso ha aspettare fino all’11 maggio per aprire un parrucchiere a Bessude o una bottega a Bottida? Davvero non lo si capisce!

Ci sono anche aspetti ridicoli nell’ordinanza, tipo la pesca sportiva se viene interdetto l’accesso alle spiagge, ivi compresa la battigia. Ridicola e inquietante è anche il via libera alla messa, quando per i cittadini sardi permane il divieto di manifestazione del proprio pensiero politico o il proprio dissenso. Sarebbe stato doveroso e giusto o vietare o permettere entrambe le manifestazioni.

Fin dall’8 marzo abbiamo sostenuto che la decisione deliberata del Governo di impedire alla Regione Autonoma di non chiudere i collegamenti con l’Italia avrebbe creato un grave danno. Al netto della mala gestione della pandemia da parte della Giunta, noi crediamo che tale danno arrecato da parte dello Stato debba essere ripagato. E in tal senso riteniamo che la Regione debba aprire una vertenza con lo Stato. Denunciamo inoltre il meccanismo di trasferimento dei fondi ai comuni che avviene per tramite del federalismo fiscale che sostanzialmente assegna più risorse a chi ha già servizi e meno a chi ne ha meno, una sorta di Stato Robin Hood insomma, come denuncia da anni lo Svimez (l’associazione per lo sviluppo dell'industria nel mezzogiorno).

Riteniamo che Solinas debba assumersi le sue responsabilità, non basta delegare ai comune. Deve dire chiaramente cosa si può fare e cosa no e in quali condizioni e istituire un filo diretto con i sindaci e le amministrazioni locali nel caso in cui la curva dei contagi dovesse aumentare per programmare una chiusura tempestiva.

Riteniamo anche che debbano essere date precise disposizioni alle forze di polizia perché cessi immediatamente il clima di caccia alle streghe, di persecuzione, di intimidazione e persino di violenza a cui abbiamo assistito fino ad oggi. Aggiungiamo anche che la cosiddetta autocertificazione ha raggiunto livelli di ambiguità e inutilità veramente imbarazzanti e che sarebbe l’ora di archiviarla.

Rileviamo che tra tutte le attività menzionate mancano gli operatori dello spettacolo e della cultura, con tutto l'indotto, i lavoratori precari, i lavoratori in nero e il lavoro grigio. Gli invisibili restano tali. Migliaia di persone che sono state abbandonate a loro stesse in questi due mesi e che continuano ad essere lasciate da sole.

Rileviamo inoltre che non esiste una strategia per fare fronte ad affitti e utenze, abitative e commerciali, di tanti sardi che non sanno come farvi fronte. Anche qui un sant’arrangiati!

Al netto di tutti i punti deboli, degli aspetti ridicoli ed ipocriti e delle mancanze che comunque ci aspettavamo dato il livello dell’attuale Giunta, siamo comunque consapevoli che esiste il concreto pericolo dell’impugnazione dell’ordinanza da parte dello Stato, ovviamente per conto dei veri padroni della macchina statale: i signori governatori delle regioni del Nord e di Assolombarda che hanno già espresso il loro pensiero a riguardo: vita nostra, morte vostra!

Se lo Stato dovesse impugnare l'ordinanza regionale siamo pronti a scendere in piazza e a violare il cosiddetto lockdown. Questo perché sappiamo che se la delibera è largamente imperfetta, la linea delle regioni del nord che fino ad ora è stata linea del Governo vorrebbe per la Sardegna, per la Sicilia e per il sud in generale la serrata totale (probabilmente per tenere bassa la curva media dei contagi e non dover quindi chiudere le loro attività e mantenere una riserva strategica di posti letto in terapia intensiva nel caso di una nuova sofferenza sanitaria).

Una delibera regionale si può riscrivere. La sottomissione ai padroni del Lombardo-Veneto no.